Sacralità della vita
May 21, 2023•467 words
Ab-orto: lontano dalla retta via. Che il prolificare, ovvero generare prole, sia proprio degli animali, chi più chi meno, è fuori da ogni dubbio: l'applicazione più rigorosa del ragionamento impone l'accettare quella di generatori di copie simili a sé come definizione stessa di animale, quindi di uomo, definizione condivisibile dai due maggiori partiti dell'intelligenza umana oggi esistenti, l'Ateo, forte della sua scienza, il Religioso, forte dei suoi testi sacri (andate e moltiplicatevi, con un dio che pure crea a propria immagine e somiglianza). Per entrambi, dunque, l'aborto dovrebbe, a rigor di logica, costituire un'etimologia assolutamente sensata: riprodursi è la via più ragionevole o più moralmente accettabile, tralasciando questa discrepanza di percorso che porta gli uni a giungere alla stessa conclusione per via logica, gli altri per via analogica, o mitica (se si respinge un'idea di morale perpendicolare al concetto di affermazione della vita). Dunque come spiegare il fenomeno e il duplice problema della volontà di abortire e del mancato riconoscimento del diritto che tale volontà si arroga, ovvero la necessità di accettarlo in quanto anch'esso naturale? In prima analisi notiamo come l'aborto non sia estraneo al resto del regno animale, dunque ancora una volta l'uomo non è poi così distante dai suoi cugini, né, forse, le sue battaglie interne così importanti. Ma assumiamo di conferirgliene, di importanza: diversi animali uccidono la propria prole o distruggono le proprie uova; l'ipotesi più accreditata è che lo facciano perché è la scelta che più garantisce la sopravvivenza, o loro in quanto proliferatori o della prole superstite, a condizioni ambientali avverse. La causa non ci importa molto, quanto il fatto che l'aborto avvenga. Quale che sia la causa dietro alla volontà di abortire di alcuni di noi, l'aborto avviene anche nell'uomo, e questo è un dato di fatto. Se dunque lo si vuole considerare omicidio, come pure potrebbe essere lecito, etimologicamente, fare, si tratta di un omicidio permissibile: l'uomo viene a conoscenza del proprio contrasto. Da un lato crea una propria morale, scientifica o sacra, divenendo dunque essa parte della sua definizione di vita, dall'altro è la vita stessa che si vuole contravvenente a tale morale, espiandone già la colpa in nuce: infatti l'aborto non è privo di rischi fisici e psicologici, nonché, a livello logico e analogico, riconoscerlo come errato, effettuare l'errore, e convivere con la colpa di aver errato, dovrebbe bastare come espiazione. Sui dettagli dell'organizzazione sociale di tale pratica di accettazione dell'immoralità non è interessante discutere e paiono essi appannaggio più di burocrati che di esseri umani. In conclusione, restituiamo alla vita ciò che ci vedevano di sacro i nostri antenati, quando ancora, col sacro, ci si poteva scendere a patti, e persino dissacrare - affermandone le conseguenze. L'aborto si fa dunque rito, il che riporta, indirettamente, in voga la pratica del sacrificio umano: sive deo sive dea.