L'occhio di Sisifo

Camus, nel suo mito di Sisifo, sembra avere capito la lezione di Nietzsche che prescrive la creazione di nuovi miti più umani, detti anche superumani, per liberarsi del concetto di ultraterreno, pur tuttavia facendo un errore nella scelta proprio di Sisifo. Infatti, avendo compreso la natura dell'uomo in quanto trasformatasi in una società completamente nichilista o quasi, che obbliga a futilità costanti, la sua risposta è accettare tutto questo come inevitabile. Se Camus dunque rifugge il trattare il problema del suicidio come intellettuale, riconoscendogli una valenza assolutamente terrena, ponendosi la domanda: "perché uno non dovrebbe suicidarsi sulla terra, stando così le cose?" la sua risposta è quanto di più intellettuale e divino possa esserci. Egli infatti sceglie Sisifo come "uomo nuovo", che nonostante il suo dover ripetere azioni insensate, riesce a vivere. Il problema è proprio il nonostante: facendo ciò glorifica la sofferenza terrena senza nemmeno la promessa di un al di là, sceglie il soffrire per il soffrire, anzi per abituarsi al soffrire. Perché Sisifo non scaglia il suo masso contro Satana, e se questi lo incenerisce, accetta la propria sorte senza rimorso? Tiene forse più ad una vita di sofferenza che alla possibilità di liberarsi della sofferenza?

Guardando Sisifo nell'occhio, questo sembra pallido e le sue gote non sono rosse. Gli si riconosce il merito di essere uno splendido tramonto, sta a noi cercare l'aurora.


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