Da ambiguo a non ambiguo; inutile forzare la mano

La descrizione di un fatto in modo più o meno logico è anch'essa un fatto. Esistono potenzialmente tante descrizioni-fatto quante sono le persone che le esprimono. Ognuna crederà di possedere la sola e unica descrizione-fatto esistente, allo stesso tempo credendo che anche gli altri la debbano possedere. Questa potenzialità si attua tanto meno dettagli sono noti a tutte le parti che producono una descrizione-fatto dello stesso fenomeno. Dato che non si può a priori escludere che fatti non noti non concorrano a determinare il fenomeno, non si potrà mai essere certi di avere tutti i dettagli. Perciò si darà sempre una frattura tra mondo e descrizione, e tra le varie descrizioni-fatto adottate dalle parti coinvolte in una discussione.

Non sono l'errore logico che parte da fatti atomici e sviluppa conclusioni può portare a fratture del genere, com'è ovvio, assumiamo pure che non ne vengano commessi da nessuno: a meno che non si sia d'accordo sul significato dei fatti atomici, di tutti i fatti atomici, si incorrerà in fratture e nella produzione di nuove descrizioni-fatto. Assumiamo che tale accordo ci sia, ponendo per semplicità due sole parti in causa: se esistesse un fatto F, non noto a entrambe le parti, queste non possono essere d'accordo anche su quello. Non potendolo esprimere, è impossibile accordarsi su di esso, dunque è ragionevole che tale fatto, una volta reso noto, farà creare una descrizione-fatto nuova alla parte P1 e una nuova alla parte P2. Sostenere che al sopraggiungere di questo nuovo fatto entrambi giungano alla stessa descrizione fatto equivale a dire che P1 e P2 sono la stessa persona. Dunque a meno che P1 e P2 si siedano ogni volta che sopraggiunge un nuovo fenomeno a definirlo, esse produrranno per forza di cose descrizioni-fatto differenti. Ma supponiamo pure che questo continuo confronto sia praticabile: si noti come quanto esposto sul fatto ignoto F prescinde dal suo essere determinante o meno per la descrizione del fenomeno in questione tra P1 e P2. Detto ciò, si consideri come l'atto stesso di chiarirsi sugli atomi è una descrizione-fatto, è cioè un fatto. Questo prima ancora di considerare come la descrizione-fatto finale è un fatto. Essa stessa può modificare come P1 e P2 descrivono a t+1 il fenomeno: è cioè impossibile che P1 e P2 giungano alla stessa descrizione-fatto. Ora lo scopo di qualsiasi conoscenza dovrebbe essere il minimizzare questa discrepanza tra fratture. Ovvero eliminare il più possibile gli errori: dove ciò non sia possibile si ha l'ambiguo e cercare di descrivere i fatti è solo controproducente in quanto prolifera le descrizioni-fatto rendendole più dei fatti stessi, dunque è più probabile una conoscenza dal semplice prendere atto delle descrizioni altrui ed esporre le proprie che questionarle.

Per quanto detto sull'analogia, per come essa prescinde dai fatti per applicarsi ad altri fatti, il venire in contatto con altre spiegazioni va ad aggiungerle ad un pool di possibili spiegazioni da applicare ad altri fatti, potenzialmente. Inquinare questa memoria con infinite spiegazioni di spiegazioni non corroborate da fatti, rende quasi impossibile recuperare tali spiegazioni in seguito. E non, come si può pensare, in numero proporzionale al numero delle spiegazioni inutili in nostro possesso: non essendo ancorate a dei fatti, esse sono in principio portatrici di un'insieme potenzialmente infinito di fatti a cui già si applicano, rendendo quasi impossibile generalizzarle ad altri fatti. Questo è contro intuitivo, ma si spiega facilmente da quanto detto sopra: mentre una descrizione-fatto di cui non si può scendere nei dettagli è buona perché applicabile a più fatti successivamente, una df di cui si scende erroneamente nei dettagli produce una miriade di singoli fatti (le df derivate) a cui si dovrà necessariamente trovare un corrispettivo nel nuovo insieme di fatti a cui si vuole applicare l'ipotesi!


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